Negli ultimi tre mesi abbiamo visto passare il tempo dalle nostre finestre. Un tempo liquido e ovattato scandito dal silenzio della strada, il suono delle sirene ma anche il canto degli uccelli. Sullo schermo della tv abbiamo visto Paesi e città come la nostra affrontare la paura e il dolore della perdita. Sui nostri balconi abbiamo onorato il lavoro delle persone che tengono piedi il sistema sanitario di questo Paese e a volte è bastata una canzone a tutto volume e un piccolo gesto di gentilezza per creare nuovi rapporti di solidarietà e di vicinato. Essere costrette ad allontanarci fisicamente dalle persone a cui vogliamo bene ci ha avvicinato di più ad altre.
Ma abbiamo visto anche ingiustizia e diseguaglianza. L’estensione delle misure di sicurezza in un sistema economico come il nostro ha lasciato indietro troppi di noi: le donne per prime, insieme a famiglie e intere comunità esposte e lasciate sole nella lotta quotidiana per far fronte alla nuova ed immaginabile realtà.
La pandemia di COVID-19 ha svuotato le città in cui viviamo e scioccato il nostro sistema economico globale.
Da qualche giorno in Italia le strade delle nostre città hanno ricominciato a riempirsi di persone, ma, adesso, come sceglieremo di abitare in questo spazio?
Il 55% di noi, a livello globale, vive in aree urbane e questo numero è destinato ad aumentare nei prossimi anni. Questo significa che, se vogliamo ricostruire dalle macerie della pandemia un mondo più sano, verde e di pace dobbiamo ricominciare ripensando le città.
Adesso è la nostra occasione per ricostruire città migliori, resilienti ad eventi estremi: quelli climatici ad altri simili a quello che abbiamo appena vissuto. Città pensate per il benessere delle persone che ci vivono.
Persone più sane, più felici, più connesse le une con le altre.
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Ripartire da città pensate per le persone, non per le auto
Se si contano strade e parcheggi, le auto occupano in media il 50% dello spazio di una città. In una città come Roma, trascorriamo mediamente 166 ore ogni anno bloccati in un ingorgo. Il settore dei trasporti è uno dei motori dell’emergenza climatica, e contribuisce a rendere l’aria che respiriamo inquinata e dannosa per la nostra salute.
Ripartire significa ridisegnare la mobilità urbana; investire davvero sulle piste ciclabili, il trasporto pubblico e la mobilità condivisa ed elettrica e rendere possibile e sicuro camminare a piedi.
Ripartire vuol dire promuovere la creazione di spazi verdi per socializzare, fare più attività fisica, rilassarci, giocare e divertirci con gli altri, trasformare spazi abbandonati nelle periferie in parchi e orti comunitari. E’ ora di sperimentare il cambiamento che vogliamo attraverso l’inclusione sociale e la rigenerazione delle aree urbane.
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Ripartire con alimenti sani, invece di cibo spazzatura.
Il modo in cui produciamo il nostro cibo contribuisce al 24% delle emissioni globali di gas a effetto serra, la produzione di carne al 14,5% e lo spreco di cibo all’8%. C’è un solo vincitore in questo sistema corrotto: l’agricoltura industriale.
Ripartire significa poter vivere in una città dove la maggior parte del nostro cibo viene coltivato localmente, nelle fattorie urbane o all’interno della regione. E creare le condizioni affinché questo cibo sia accessibile a tutti.
Dobbiamo sostenere il crescente movimento di agricoltori, cittadini, amministratori e comunità che stanno già costruendo questa visione. E rendere le nostre aree urbane più resilienti coltivando cibo sano nelle fattorie urbane e negli orti di quartiere, organizzando mercati degli agricoltori, cooperative alimentari e luoghi in cui le persone possono scambiarsi e accedere a cibo prodotto localmente, scegliendo di servire più alimenti a base vegetale in mense e ristoranti, consumando ingredienti stagionali e locali.
Questo è il modello che vogliamo sostenere.
Ripartire da una green economy, senza petrolio, gas e carbone
Viviamo su un Pianeta con risorse limitate. Per “nutrire” il nostro modello economico avremmo bisogno di tre Pianeti per sostenere i nostri consumi. Le emissioni di gas serra generate dalle grandi città sono del 60% superiori a quanto viene tuttora stimato se contiamo gli impatti del commercio di beni e servizi consumati nelle città.
Ripartire significa cambiare le nostre abitudini di consumo. Se vogliamo mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5 ºC; dobbiamo creare le condizioni per cui tutti possano consumare meno e meglio.
Ed è nelle nostre città che dobbiamo creare soluzioni che promuovano il riutilizzo, la condivisione, la riparazione e lo scambio.
Solo così riusciremo a rallentare il consumo di preziose risorse naturali e ridurre la produzione di rifiuti e gli sprechi.
Questa crisi globale è l’occasione per costruire un nuovo presente, dove – a partire dalla nostra vita quotidiana in città– possiamo vivere in modo sano e in armonia con la natura. È arrivato il momento di ripensare le nostre città!
Chiara Campione e Michela De Santis
Le autrici vivono a Roma. Sono rispettivamente la Global Manager e la Global Engagement Lead del progetto #HackYourCity
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