Lo scorso 18 agosto il GIAN è tornato per la terza volta a Srebrenica a supporto del progetto City of Hope. E’ stato un viaggio caratterizzato dalla riscoperta della dimensione rurale, della gente che vive umilmente in piccoli villaggi immersi nella natura e dove il tempo scorre ancora lentamente secondo i cicli di una tradizione millenaria.
Abbiamo infatti avuto la fortuna di trascorrere qualche giorno nei villaggi di Osmace (ospiti di Azen e la sorella Bahra) e Ljeskovik dove siamo stati accolti da un’ospitalità semplice ma molto calorosa e dove abbiamo avuto l’occasione di riscoprire la sensazione di gratifica chi ti lascia il lavoro che sai essere stato utile. Complice infatti un’estate molto piovosa le comunità locali erano in forte ritardo con la raccolta del fieno e la situazione veniva vissuta con ansia dal momento che ciò metteva a rischio le provviste invernali per l’allevamento e la conseguente sopravvivenza degli animali a tal punto che alcune famiglie stavano ragionando se venderli o meno pur salvare il salvabile. E’ stato quindi con grande piacere che ci siamo prestati in più di un’occasione a raccogliere il fieno e a stiparlo nelle stalle.
Un’ulteriore occasione di vivere le tradizioni locali è stato il giorno del Bajram ( o del sacrificio) la più grande festività islamica che si celebra tradizionalmente due mesi e 10 giorni dopo il termine del Ramadan. Il giorno comincia molto presto con la preghiera in moschea alle 7 del mattino per poi scorrere lentamente; non si lavora e il tempo è alleato di chi vuol vivere con profondità lo spirito di questa giornata che non si manifesta solo attraverso la convivialità ma soprattutto, e questo ci ha colpito veramente, attraverso la condivisione. Infatti una parte degli animali sacrificati viene offerta in dono ad amici e parenti, vicini e lontani, dando la possibilità alla comunità locale di consolidare i rapporti personali tra le varie famiglie.
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La parte di lavoro volontario ci ha visti anche impegnati per due mezze giornate nella pulizia della necropoli bogumila (o dei Dobri Bosniani) poco distante dal villaggio di Ljeskovik. Prima della guerra quasi tutte le necropoli erano mantenute volontariamente dai villaggi limitrofi; dopo la guerra le condizioni di vita più dure e il numero decisamente Inferiore degli abitanti dei villaggi ha reso questa pratica sempre meno attuale con il risultato che al giorno d’oggi molte necropoli sono “ nascoste” dalla vegetazione. E’ stata quindi l’occasione di mettere mano a forche, rastrelli, asce e decespugliatori per “liberare” la necropoli dalla vegetazione che la stava coprendo.
Ma questo viaggio non è stato solo volontariato: abbiamo anche giustamente vissuto uno degli aspetti su cui si basa il progetto Sebrenica City of Hope che vuole far tornare ad apprezzare le bellezze naturali della municipalità di Srebrenica superando quel limite invisibile che la vede legata nella memoria della comunità internazionale solo come la città del genocidio. Abbiamo quindi avuto modo di apprezzare i boschi con la loro pace e la loro magnifica vegetazione lungo il corso dei nostri spostamenti da un villaggio all’altro ( abbiamo usato la macchina soltanto il primo giorno per poi riprenderla dopo una settimana, alla partenza) spesso intersecando le vie della memoria (quelle che usano i profughi per scappare dalla guerra) spingendoci anche a navigare il lago Perucaz alla ricerca di una via d’accesso alle grotte dove trovarono riparo gli abitanti di Ljeskovic. Spettacolari sono state le visite alla fortezza medievale e al canyon della Drina con Il suo imponente panorama sul fiume che fa da confine tra Bosnia e Serbia.
Ma è stata anche l’occasione per parlare con gli amici di Prijateli Prirode Oaza Mira, su quali progressi abbiano fatto nell’ultimo anno e cosa hanno in cantiere per il futuro. Nell’ultimo anno ci sono state parecchie visite: specialmente di gruppi e scolaresche (circa 1800 persone in tutto). Molti di loro erano in visita giornaliera e hanno promesso di tornare nel prossimo futuro e di fermarsi qualche giorno per conoscere meglio la zona. Il gruppo, inoltre, si è rinforzato e si compone oggi di circa 10 nuclei familiari di etnia mista (serbo bosniaca) a conferma di quanto ci aveva detto Aziz (di Ljeskovic):<< la vita qui non è semplice e le persone comuni sanno convivere insieme pacificamente senza guardare alla nazionalità, all’etnia o alla religione…sarebbe meglio se i politici la smettessero di soffiare su queste divisioni per avere facile consenso politico…>>. Per il prossimo anno, grazie al contributo di una fondazione di Torino, si punterà alla costruzione di 3 casette in stile bosniaco (per circa 8 posti letto ciascuna) la cui energia elettrica sarà fornita da un mulino ad acqua. Nel frattempo incombe l’inverno e le abbondanti nevicate che solitamente lo caratterizzano si vuole dare il via a un programma di ciaspolate…….
Berg Frei
Il Presidente Nazionle
Christian Facchetti