L’espressione l’elefante nella stanza vuole indicare una verità ben visibile ma che tutti fan finta di non vedere. Può riferirsi a un problema anche molto noto ma di cui nessuno vuole parlare. È impossibile ignorare un elefante al centro del salotto, ma si può far finta di non vederlo e così evitare di porre un problema al centro dell’attenzione e delle relazioni. Affrontarlo creerebbe un disagio difficile da sostenere, ma ignorarlo non ne elimina la presenza. Prima o poi l’elefante si muove, attira la presenza su di sé e può fare danni che si potevano evitare. Allora ci si accorge che molti sapevano ma nessuno, per le motivazioni più varie, aveva avuto il coraggio di rompere il silenzio.
Se vai a trovare un amico che ha una grave malattia (lo sai tu e lo sa anche lui) e cerchi di evitare qualsiasi discorso che anche lontanamente tocchi il problema, fai finta di non vedere un grosso elefante che si frappone tra te e lui. La sua presenza, reale anche se minimizzata, distorce le relazioni e ti impedisce di continuare ad essere l’amico di cui lui ha ancora bisogno in quel momento per esprimere “liberamente” il suo dolore, le sue paure e le sue speranze: tutto ciò che ha dentro e che non sempre può dire ad altri.
Trattare argomenti difficili è duro ma, nei modi e nel tempi adeguati, è necessario affrontarli. Quando la persona che ami è cosciente della sua situazione, può essere di grande aiuto parlarne e sarà lei a farti sapere se è il momento opportuno o se è bene che l’elefante rimanga nella stanza, almeno per un po’ di tempo ancora. Ci vuole sensibilità, buon senso e onestà, ma è importante non permettere che l’elefante nella stanza la faccia da padrone e condizioni la tua vita, rompendo le cose più belle che hai, relazioni d’amore e d’amicizia comprese. Ci sono anche offese che devono essere chiamate per nome. Solo così l’elefante si volatilizza, ci si può guardare negli occhi e percorrere la difficile via del perdono e della riconciliazione.
L’immagine dell’elefante nella stanza è usata da vari autori per parlare di problemi diversi: ammettere e superare la vergogna di aver sbagliato, accettare di essere fragili e vulnerabili, denunciare violenze e ingiustizie di vario tipo, affrontare il tema della morte di un genitore con bambini di diversa età, e altri problemi ancora. Alcuni autori parlano di un elefante che non si vuol vedere a proposito della fatica emotiva che accompagna la compassione e del possibile burnout, e cioè di quell’esperienza che molti professionisti fanno, dopo essere entrati nel mondo dell’aiuto e della cura con grandi motivazioni: sentirsi emotivamente svuotati, trattare male le persone e vivere un senso di fallimento.
Mi ha attirato il titolo di un articolo in inglese che parla della convinzione che “la compassione non costa niente” come di un elefante nella stanza. I due Autori dell’Università di Birmingham, una città dell’Inghilterra centrale, affermano che una buona cura compassionevole (compassionate care) è il risultato delle azioni degli individui ma anche delle organizzazioni che, nel creare una cultura che dia importanza alla compassione nel prendersi cura degli altri, non evitano di guardare in faccia il costo emotivo che i professionisti pagano nel curare i malati e aiutare le persone più fragili. È questo un elefante nella stanza che si fa finta di non vedere, e quindi non viene affrontato, ma i cui effetti non poche volte si vedono. E non sempre la cura è compassionevole. La compassione nelle diverse situazioni di cura ha un costo che va chiamato per nome e affrontato. Solo così si può impedire che l’elefante sfugga al proprio controllo, la “fatica da compassione” si faccia improvvisamente sentire e provochi disastri.
Umanizzare le cura significa anche “prendersi cura di chi cura”, esercitare cioè la compassione anche verso di loro. La compassione è una particolare sensibilità verso la sofferenza degli altri che porta all’impegno per cercare di alleviarla, presuppone l’attenzione ai bisogni degli altri e una presa di coscienza della loro tipologia, ma richiede anche la motivazione ad agire e la competenza di poterlo fare nei modi professionalmente più efficaci. Ci sono abilità relazionali e precise competenze che devono essere imparate e coloro che hanno responsabilità direttive nelle organizzazioni hanno il compito di creare ambienti lavorativi nei quali la cura compassionevole possa esprimersi e crescere.
La compassione che si esprime nella cura ha i suoi costi emotivi e solo affrontando insieme questo elefante nella stanza si possono controllare gli effetti problematici e far emergere le possibili soddisfazioni. Prima che la situazione sfugga di mano.
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