Il bilinguismo? Influenza la nostra personalità
Una seconda lingua cambia la nostra personalità. Che il bilinguismo abbia degli straordinari effetti sul sistema nervoso (destinati a permanere per tutta le vita) e sulle capacità cognitive, è ormai appurato. Ma non tutti sanno che parlare una seconda lingua può influire sulla nostra psicologia più profonda, modificando la nostra percezione di noi stessi e del mondo circostante.
Questo curioso dato di fatto è confermato da molte esperienze personali (anche tra i nostri studenti) ma soprattutto da studi scientifici. A dimostrarlo sperimentalmente è stata, in tempi relativamente recenti, la psicologa Nairan Ramírez-Esparza, della University of Connecticut. Nel 2006, con l’aiuto dei suoi colleghi, Ramírez-Esparza ha somministrato a dei cittadini bilingue un doppio test della personalità, chiedendo loro di descrivere la loro personalità in spagnolo e in inglese.
Ne è emerso che quando utilizzavano l’inglese i candidati si percepivano come più cortesi, estroversi, aperti alla cooperazione e responsabili rispetto alle occasioni in cui utilizzavano lo spagnolo. In generale la loro presentazione toccava più facilmente questioni legate a traguardi personali e lavorativi, alle esperienze di studio e alle attività quotidiane. Al contrario, scrivendo in spagnolo i temi centrali erano quelli della relazione con la famiglia e con il proprio partner e quelli legati ai propri hobbies extralavorativi.
Simili studi confermano quanto già proposto, negli anni ’50 del ‘900, da Susan Ervin-Tripp, dell’Università di Berkeley. Ervin aveva condotto uno studio su donne bilingue, giapponesi e americane, alle quali aveva chiesto di completare nelle due lingue delle frasi, scoprendo che le risposte erano modellate dalla lingua utilizzata. In giapponese esprimevano una visione del mondo più conservatrice, mentre in inglese esprimevano una maggiore propensione all’emancipazione e all’indipendenza.
Una lingua ci insegna a esplorare una cultura. E la nostra personalità
Secondo Ramírez-Esparza questa curiosa variazione di personalità è dovuta innanzitutto al fatto che ogni lingua veicola degli specifici valori culturali che non sono separabili dalle sue possibilità espressive. Quando utilizziamo una lingua, infatti, ci orientiamo all’interno di un orizzonte di significati peculiare, e utilizziamo per pensare gli strumenti che quel linguaggio ci mette a disposizione. Insomma, il linguaggio funzionerebbe come una specie di “lente”, attraverso la quale finiamo per vedere il mondo intorno a noi. E il mondo dentro di noi.
Questa interpretazione è stata recentemente confermata anche da Jubin Abutalebi, neurologo cognitivista e docente di neuropsicologia dell’Università San Raffaele di Milano, che al Corriere della Sera ha recentemente spiegato come ogni lingua veicoli a suo modo significati differenti e intraducibili:
“La visione culturale sottesa alle parole di lingue differenti può influenzare chi conosce più di un idioma. Il cervello, dovendo processare lingue con una semantica varia, associa ai singoli concetti elementi tratti dai linguaggi che conosce. In genere poi chi padroneggia più lingue è più curioso nei confronti delle culture legate agli idiomi conosciuti e questo facilita una maggior apertura e una visione diversa delle cose. Il modo di pensare e relazionarsi col mondo rimane immutato solo se una lingua viene imposta, perché in questo caso si mette in atto una resistenza a qualsiasi ‘commistione’ culturale”.
Il linguaggio influenza le nostre abitudini e la nostra etica
Ma a quanto pare c’è di più. Il linguaggio influenza in particolare la sfera dell’etica e della morale. Uno studio pubblicato su PLOS One dimostra che esprimendoci in una lingua o in un’altra le nostre inclinazioni morali possono cambiare. In particolare, ciò che è emerso dallo studio è il fatto che parlare una seconda lingua, differente da quella nella quale ci esprimiamo sin dalla nascita, conduce inevitabilmente a fare scelte differenti, meno emotive, di quelle condotte mentre si parla nella propria lingua madre.
Addirittura la lingua che parliamo può modellare le nostre abitudini quotidiane. L’economista Keith Chen, dell’Università di Los Angeles, ha scoperto che i cinesi, la cui lingua madre non ha un preciso tempo verbale per indicare il futuro, dimostrano un’inclinazione maggiore del 30% all’accumulo di denaro rispetto a chi invece utilizza lingue nelle quali il tempo futuro è maggiormente focalizzato. La ragione di tutto questo? Chi non dà al futuro una forma definita lo percepisce come molto più prossimo al presente, molto più incombente, e tende a voler risparmiare di più.
Allo stesso modo, uno studio su bambini ebrei e finlandesi ha portato alla luce che i bambini che parlano ebraico raggiungono con un anno di anticipo la consapevolezza della loro identità di genere, perché la loro lingua assegna sempre un genere alle parole, mentre in finlandese vi è una ben più ampia possibilità di mantenersi nell’indeterminazione.
Lo studio di una lingua da bambini? Uno straordinario strumento educativo
La capacità del linguaggio che utilizziamo di dare forma ai nostri pensieri e alla nostra personalità dovrebbe farci immediatamente comprendere quali siano i potenziali educativi dell’apprendimento di una seconda lingua. Imparare sin da piccoli una seconda lingua vuol dire avere a disposizione un altro modo di pensare, di vedere il mondo, e soprattutto di risolvere i problemi che ci troviamo ad affrontare nella vita. Ecco perché è fondamentale dare da subito ai nostri figli una conoscenza approfondita di una seconda lingua, seguendo un percorso graduale che gli consenta di progredire senza intoppi e senza lacune.
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