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quello che vi lasciamo qui sotto è un resoconto, scritto da Leonardo Baroncelli (Vice Presidente NFI) sulla COP27, la 27ª Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tenutasi a Sharm el-Sheikh dal 6 al 20 novembre di quest’anno.
La Conferenza Onu di Sharm el-Sheikh sul clima (COP27) chiude un anno segnato ancora una volta da alluvioni catastrofiche, ondate di calore senza precedenti per intensità e durata ed altri eventi meteorologici estremi che hanno funestato diverse aree del pianeta,Italia compresa.
Essa si è aperta in un contesto internazionale reso difficile ed incerto dai cambiamenti geopolitici creati dall’aggressione militare della Ucraina e dalle conseguenti tensioni tra Russia ed Occidente che hanno alimentato la crisi energetica, la penuria di derrate alimentari e più in generale il rallentamento della crescita economica mondiale.
Tali crisi hanno indotto diversi paesi a dilazionare nel tempo gli impegni assunti per eliminare gradualmente l’uso dei combustibili fossili, in particolare del carbone, onde evitare il tracollo delle economie e della pace sociale.
L’assenza a Sharm el-Sheikh dei leaders di Cina ed India, Paesi maggiormente inquinatori, non appariva di buon auspicio, facendo paventare un vertice mondiale al ribasso-peraltro adombrato dalla concomitante riunione a Bali del Gruppo dei Paesi più sviluppati(G20)- dove sarebbe stato arduo elevare l’asticella delle ambizioni necessarie per contenere il riscaldamento globale della terra.
Per tali ragioni il Segretario Generale delle Nazioni Unite aveva lanciato alla vigilia appelli urgenti ai Paesi partecipanti al fine di salvaguardare le spinte propulsive verso l’impatto climatico zero impresse dalla COP di Parigi del 2015 e da quella di Glasgow dell’anno scorso.
Occorre valutare se tali appelli siano stati raccolti e se la COP27 abbia segnato un passo avanti o meno. L’esito finale del consesso mondiale nella località costiera egiziana si presta ad ambedue le interpretazioni.
Nel documento finale approvato all’ultima ora si ritrova in positivo il mantenimento del macro obiettivo dell’Accordo di Parigi di contenere entro i 1,5 gradi Celsius l’aumento della temperatura media terrestre rispetto all’era preindustriale. Tale risultato non era scontato stanti gli intendimenti di alcuni Paesi d ritoccare all’insù la pietra miliare dell’agenda climatica Onu.
Per converso il documento richiede soltanto la riduzione della produzione di energia elettrica a carbone con emissioni non abbattute e non l’eliminazione e nulla dice sulla riduzione o eliminazione degli altri combustibili fossili come avevano richiesto diversi Paesi.
La COP27 riconosce che per mantenere l’obiettivo di 1,5 gradi centigradi è necessaria una riduzione delle emissioni del 43% entro il 2030 rispetto a quelle del 2019 e che con gli impegni di decarbonizzazione attuali il taglio sarebbe solo dello 0,3% rispetto al 2019. Da qui l’appello agli Stati che non hanno ancora aggiornato i loro obiettivi a farlo quanto prima.
Per promuovere le misure di adattamento al riscaldamento globale si richiede di aumentare i fondi a disposizione e di studiare la possibilità del loro raddoppio.
Il documento nota con preoccupazione che non è stato ancora istituito il fondo di 100 miliardi all’anno di dollari da alimentare dal 2020 con i contributi dei Paesi più sviluppati previsto dall’Accordo di Parigi per aiutare i Paesi meno sviluppati nelle politiche climatiche.
Per la prima volta il documento finale della COP contiene però la decisione di istituire un fondo per alimentare le compensazioni ai Paesi meno sviluppati e più vulnerabili per i danni e le perdite (loss and damage) da essi subiti a causa dei cambiamenti climatici. Un comitato transitorio dovrà preparare un progetto da presentare alla COP28 per l’avvio del fondo di compensazione.
Si tratta di un progresso non da poco in materia di giustizia climatica. Dopo circa tre decadi di dibattiti e negoziati annosi è stata accettata a pieno titolo l’idea di prevedere un meccanismo finanziario per compensare le perdite ed i danni di Stati che pur inquinando in misura marginale subiscono fortemente l’impatto dei cambiamenti climatici. Per realizzare tale meccanismo andranno tuttavia ben individuati criteri stringenti ed oggettivi affinché le compensazioni siano sostenibili sul piano finanziario e i fondi siano impiegati in maniera appropriata e trasparente.
Viene inoltre previsto un sistema di primo allarme per gli eventi meteorologici estremi in tutti i Paesi del mondo. Fin qui a grandi linee l’esito della COP27.
Per il resto una grande nota di speranza è venuta dall’intervento del neopresidente eletto del Brasile. Lula ha promesso che il suo esecutivo combatterà senza tregua i crimini ambientali, perseguirà l’obiettivo della deforestazione zero ed istituirà un dicastero per i popoli indigeni, candidando l’Amazzonia ad ospitare la COP del 2025.
Ha invocato un mondo più giusto e un nuovo ordine internazionale multilaterale, nonché l’introduzione di un meccanismo di compensazione per i danni e le perdite subiti dai Paesi in via di sviluppo che alla COP27 alla fine ha preso forma.
C’è da sperare che la COP30 in Amazzonia possa celebrare la rinascita del maggior polmone verde del pianeta e la salvaguardia efficace dei popoli indigeni che per secoli ne hanno custodito il patrimonio ambientale d’importanza fondamentale per il Brasile e l’intera umanità.
Tanto più che malgrado che l’Africa sia il continente più colpito dagli effetti dei cambiamenti climatici si registra in esso una notevole espansione dell’industria fossile tramite l’esplorazione e lo sfruttamento di nuovi giacimenti di risorse facenti capo a varie multinazionali del petrolio e del gas.
C’è da sperare anche che le conferenze future sul clima assumano contorni più agili e pragmatici, assegnando un ruolo maggiore ai Paesi in grado di offrire soluzioni concrete e risultati misurabili e prevedendo anche meccanismi per rendere vincolanti gli impegni assunti. Altrimenti si corre il rischio di vanificare nel tempo lo spirito innovatore della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 e di ridurre le COP annuali a fori internazionali di studio e di analisi dei problemi con poco impatto visibile e sostenibile sulla soluzione degli stessi.
Andrà anche riconsiderato criticamente il numero dei partecipanti considerato che gli oltre 30.000 convenuti a Sharm el-Sheikh hanno comportato essi stessi un notevole impatto ambientale, spesso senza compensazione alcuna.
A rendere più difficile l’esito della COP27 hanno infine contribuito le misure rigide di sicurezza adottate dalle autorità egiziane per contenere le manifestazioni della società civile e che hanno reso meno interessante e più scontato l’evento per numerosi difensori dell’ambiente e dei diritti umani.
In tale contesto in divenire il nostro Paese può e deve mostrare maggior impegno nel contrasto dei cambiamenti climatici al pari di altri partners europei. L’Italia è uno dei Paesi del nostro continente più esposti già oggi a calamità naturali favorite anche dal consumo eccessivo di suolo, come inondazioni, siccità ed innalzamento del livello dei mari con conseguenti salinizzazione dei terreni e desertificazione, scioglimento dei ghiacciai e rapida perdita di biodiversità animale e vegetale con gravi ricadute per agricoltura e allevamento.
Siamo anche in prima linea per quanto riguarda gli spostamenti dei migranti climatici destinati ad aumentare con l’intensificarsi degli eventi climatici estremi.
Deve essere quindi nostro primario interesse perseguire con sagacia e determinazione gli obiettivi dell’agenda climatica e fornire un contributo significativo di idee e di azione al coordinamento delle politiche mondiali necessarie per mitigare il riscaldamento globale e per adattarsi ad esso.
Leonardo Baroncelli, già Vice Presidente di NFI