Il termine “Gaslighting” deriva dal titolo del film “Gaslight” del 1944 del regista americano Georg Cukor con Ingrid Bergman e Charles Boyer.Il film si svolge nell’Inghilterra vittoriana dove un gentiluomo persuade la giovane moglie ad abitare nella vecchia casa dove è cresciuta e dove fu assassinata (da lui, naturalmente) sua zia e con una diabolica strategia psicologica, alterando le luci delle lampade a gas della casa, la spinge sull’orlo della pazzia.
Da qui, il termine gaslighting è utilizzato per definire un crudele comportamento manipolatorio messo in atto da una persona abusante per far si che la sua vittima dubiti di se stessa e dei suoi giudizi di realtà, cominci a sentirsi confusa, creda di stare impazzendo.
Il gaslighter, così viene definito colui che mette in atto tale manipolazione mentale, fa credere alla vittima di stare vivendo in una realtà che non corrisponde alla realtà oggettiva, la fa sentire sbagliata, mina alla base ogni sua certezza e sicurezza, in sostanza agisce su di lei un vero e proprio lavaggio del cervello. La ricerca dimostra che nella stragrande maggioranza dei casi la vittima e il gaslighter sono relazionalmente vicini, quasi sempre partner o parenti stretti.
Il comportamento di gaslighting attraversa tre fasi fondamentali:
1) Incredulità: la vittima non crede a quello che sta accadendo nè a ciò che vorrebbe farle credere il suo “carnefice”
2) Difesa: la vittima inizia a difendersi con rabbia e a sostenere la sua posizione di persona sana e ben “piantata” nella realtà oggettiva
3) Depressione: la vittima si convince che il manipolatore ha ragione, getta le armi, si rassegna, diventa insicura e estremamente vulnerabile e dipendente.
Esistono tre categorie fondamentali di manipolatore:
1) il bravo ragazzo che sembra avere a cuore solo il bene della vittima ma in realtà antepone ad ogni altra cosa i propri bisogni
2) l’adulatore che attua la manipolazione in maniera strategia lusingando la vittima
3) l’intimidatore che utilizza il rimprovero continuo, il sarcasmo, l’aggressività diretta
Lo scopo del comportamento di gaslighting, comune alle tre categorie di manipolatori, è ridurre la vittima a un totale livello di dipendenza fisica e psicologica, annullare la sua capacità di scelta e responsabilità.
Si tratta di una grave forma di perversione relazionale che rende le vittime talmente assuefatte e dipendenti da essere nella maggior parte dei casi inconsapevoli rispetto a ciò che sta loro accadendo. La violenza si cronicizza non appena la vittima entra nella fase depressiva, quella in cui si convince della ragione e anche della bontà del manipolatore (che si prende cura di lei, la capisce, la sostiene) che non a caso è spesso addirittura idealizzato. Ecco che si crea così il paradosso, in cui la vittima idealizza il proprio carnefice.
Proprio per quanto detto finora è difficile che chi è vittima del gaslighter si renda conto della situazione perversa in cui vive e chieda aiuto, cosa ancor più vera se si pensa che essa diventa così dipendente da isolarsi anche a livello sociale per la paura di essere inadeguata o giudicata pazza. Più spesso la richiesta di aiuto o la capacità di far “aprire gli occhi” alla vittima arriva da chi le sta intorno, altri familiari, amici o colleghi. E’ allora che può e deve iniziare il percorso di ricostruzione della propria identità, della fiducia e del senso di sè che porti la donna a liberarsi da una relazione perversa e dolorosa.
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