La tragedia dei popoli indigeni e la tragedia del mondo.

Premessa

I risultati delle più recenti ricerche di paleoantropologia retrodatano la presenza in Africa di Homo Sapiens di almeno duecentomila anni. Dal Corno d’Africa fino al nord del continente i nostri più lontani antenati calpestano il suolo di Madre Terra da oltre trecentomila anni.

Siamo stati cacciatori-raccoglitori fino al neolitico, quindi solo da diecimila anni coltiviamo la terra ed addomestichiamo gli animali. Quando parliamo del mondo primitivo e rappresentiamo i nostri antenati come “cavernicoli” facciamo un errore grossolano, in realtà le pitture e le incisioni rupestri che troviamo in ogni continente e che sono per motivi ovvi solo ciò che è sopravvissuto nel corso di decine di migliaia di anni, testimoniano il grado altissimo di sviluppo intellettuale e spirituale di un’umanità che ha saputo vivere in armonia con gli elementi naturali, anche i più estremi.

Lakota sulla roccia numero 1 di Foppe di Nadro in Valcamonica: “Questi simboli li hanno fatti i nostri antenati” ci hanno detto.

La premessa serve solo per dire che per scelta l’uomo antico è vissuto in stretto ed armonico rapporto con la natura e questa scelta è quella che continuano a fare le comunità indigene del mondo. Anche quelle che, quasi sempre forzatamente, si sono adattate allo “sviluppo” mantengono una cultura e una dimensione intellettuale e spirituale profondamente legata alle loro origini. C’è una forma di razzismo, forse non del tutto consapevole, nella convinzione che il mondo industrializzato sia: “L’ottimo mondo possibile” ed i disastri che dopo soli due secoli il modello prodotto dalla rivoluzione industriale sta provocando sono sotto i nostri occhi.

L’arrivo della pandemia provocata dal Corona virus sta rendendo sempre più evidente l’errore di prospettiva che l’umanità ha compiuto e continua a compiere. Non siamo i padroni della terra, siamo gli ultimi arrivati e rischiamo semplicemente di essere i primi ad esserne scacciati.

Geshe Lha Tenkiong e Cecil Cross (con gruppo di sciammannati) sul terrazzo della casa-rifugio Alexander Langer di Saviore

Le nostre esperienze con le culture indigene nordamericane a Saviore dell’Adamello, Apache e Lakota e con la spiritualità tibetana, attraverso il Geshe Lha Lobsang Tenkiong, datate da oltre vent’anni, ci hanno permesso di capire la profondità di quei mondi e quanto siano importanti per noi, particolarmente oggi. Il senso della nostra ricerca l’abbiamo trovato nello scambio che siamo riusciti a costruire, un vero e proprio piccolo ponte tra culture. La nostra valle, la Valcamonica, è il primo titolo della Lista dell’eredità culturale mondiale-UNESCO per l’Italia (dal 1978) ed ha un patrimonio di incisioni rupestri di oltre 300.000 simboli classificati su un arco temporale di diecimila anni. Questo è stato il terreno sul quale abbiamo trovato una forte sintonia ed è anche quello sul quale abbiamo avuto gli stimoli più interessanti. La questione più importante è sempre quella del “sacro” nella natura, tanto lontana da noi quanto vicina agli indigeni: “E’ vivo” ci hanno detto dei luoghi nei quali gli antichi camuni hanno lasciato i loro segni. “Questi simboli li hanno tracciati i nostri antenati” ci hanno detto riferendosi ai cerchi con il punto centrale ed agli antropomorfi chiamati “oranti” dagli archeologi. Naturalmente l’ingresso in un riparo sotto-roccia con la consapevolezza che “è vivo”, cambia profondamente, così come riconoscersi nella simbologia del cerchio e della spirale comune a tutta l’umanità.

Rito del fuoco sacro che nutre tutti gli esseri senzienti ed i “Signori” della natura, cerimonia tibetana di offerta del cibo umano a tutte le entità sottili che governano il mondo. Si tratta di una cerimonia di origine “Boen”, l’antica tradizione spirituale tibetana precedente l’arrivo del buddismo.

MITAKUYE OYASIN-SARWAM SARVAT MACAM, sono due mantra, il primo lakota il secondo himalayano, vogliono dire esattamente la stessa cosa: “Mi sento con tutte le mie relazioni, siamo un unico popolo, siamo tutti fratelli”. Il concetto che si esprime è quello della relazione, del rapporto tra tutti gli esseri viventi compresi quelli che viventi non ci appaiono come i minerali, l’acqua, le nuvole, il vento, le stelle. L’ingresso nell’universo della relazione è l’inizio di un cammino nella conoscenza, nella percezione fisica e psichica che condividiamo lo stesso destino e quando questo avviene comprendiamo finalmente il significato dell’essere “persone”; scompare la paura, la malattia diventa un’esperienza di conoscenza, il cambiamento il terreno naturale della crescita individuale e collettiva, la morte il punto più elevato e sacro della trasformazione: la legge che riguarda tutti gli esseri indistintamente, l’indispensabile passaggio verso l’infinito. E’ per questo che nella mitologia gli dei immortali invidiano l’uomo, l’immortalità infatti è la negazione del cambiamento è la schiavitù più feroce che si accompagna al dolore eterno ed irredimibile.

Pierpaolo Pasolini nel dialogo tra il Centauro e Giasone nel film “Medea” fa dire al Centauro: “Non c’è niente di naturale nella natura, ragazzo mio, tientilo bene in mente, quando la natura ti apparirà naturale tutto sarà finito. Addio cielo, addio mare…”

Ancora Pasolini ci parla della: “Scandalosa forza rivoluzionaria del passato”.

Sono due momenti di una riflessione profonda sul significato attuale e sconvolgente per il nostro stile di vita, del valore delle culture indigene sopravvissute e da difendere ad ogni costo. Rappresentano un vero e proprio scrigno di conoscenze indispensabili per il futuro dell’umanità.

Italo Bigioli
Presidente della sezione Saviore dell’Adamello degli Amici della Natura

 

 

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