Il weekend del 28-29 Aprile 2018, grazie agli Amici della Natura, ho potuto partecipare ad un interessante Workshop, a Vienna, nell’ambito del progetto “Sport per tutti”, che ha come obiettivo l’inclusione delle persone con disabilità nelle attività sportive.
In particolare il progetto mira ad aprire nuove possibilità di partecipazione delle persone disabili ad attività all’aperto ed è composto da due differenti workshop: questo era il primo ed era dedicato soprattutto alle proposte di escursionismo per persone con disabilità visive e motorie.
La sede del corso era decisamente in stile “Amici della Natura”: una bellissima casa/eco-museo all’interno di un vasto parco che si estende fino a Bratislava. Presenti, oltre a me, Cristina e Antonio per l’Italia, anche la delegazione rumena, ceca, belga, oltre che gli “autoctoni”: accoglienti organizzatori che hanno saputo creare una buona struttura per il corso, in un clima disteso e famigliare. Protagonisti del workshop Isabella, una ragazza sulla sedia a rotelle con disabilità visiva, e Mehandra, cieco dall’età di 12 anni. Grazie alla loro presenza abbiamo avuto un confronto diretto con le reali difficoltà che queste disabilità comportano.
CONTENUTO DEL WORKSHOP
Il corso è stato essenzialmente diviso in due parti: la giornata di sabato, decisamente esperienziale, mentre la domenica si è ragionato insieme su ciò che si è appreso il giorno precedente, per poterlo mettere in pratica nel futuro.
Il sabato, dopo esserci conosciuti e aver condiviso le nostre motivazioni e origini, ci siamo divisi in due gruppi: un gruppo ha lavorato con Mahendra, e l’altro con Isabella, per poi scambiarci.
Sperimentare la disabilità visiva
Mahendra ci ha presto detto che esistono molti stereotipi sui ciechi, ma ogni persona è diversa ed è essenziale, quando possibile, chiedere a ciascuno cosa sia meglio per lui/lei. Ad esempio qualcuno preferisce essere accompagnato fisicamente con il sostegno del braccio, per qualcun altro questo è considerato invasivo e preferisce l’accompagnamento verbale (cioè illustrare verbalmente ciò che vi è intorno, in modo dettagliato e fruibile dalla persona).
Raccogliere quindi informazioni su chi accompagneremo è molto importante, così come lo è dare loro le informazioni necessarie sul tipo di percorso e attività che andremo ad offrire.
Abbiamo noi stessi sperimentato la cecità (bendati) e le differenti disabilità visive con degli occhiali speciali (macchiati o con lenti coperte in parte, così da vedere solo in alcune direzioni) diventando così, per un po’ di tempo, disabili visivi.
Abbiamo provato a muoverci all’interno della sede, ma sopratutto abbiamo camminato all’interno del parco.
E’ stata un’esperienza forte e istruttiva.
Innanzitutto ci si stanca molto quando non ci si vede bene: lo sforzo di muoversi è maggiore, si devono codificare stimoli senza uno dei sensi principali e ci si deve costantemente tutelare dall’esterno, quindi il livello di attenzione è molto alto.
Personalmente, bendata, sono stata sopraffatta dagli stimoli uditivi, avrei voluto che tutti tacessero: muovermi mi costava molta fatica ed attenzione, mi sono sentita confusa e stordita.
Ho appurato come vederci poco, male e addirittura non vederci affatto può modificare la nostra postura e il modo di camminare, comportando quindi maggiore stanchezza.
La durata del percorso (non eccessiva), la sua difficoltà e ricchezza di stimoli sono quindi elementi essenziali su cui costruire la nostra attività all’aperto per persone con disabilità visiva.
L’ambiente deve essere il più possibile comunicativo e fornire informazioni (braille per chi non vede, ad esempio; cartelli ad altezza occhi con caratteri leggibili per chi vede poco…)
Fondamentale è descrivere ciò che ci circonda in quel momento.
Raccontare l’ambiente circostante a chi non può vederlo non è solo un modo per descrivere gli ostacoli che lo compongono: è anche il canale attraverso cui la persona può immaginare un paesaggio, un bosco, un albero, un fiore, un ruscello… Attraverso il nostro racconto dettagliato può costruire una sua immagine del posto, ma questo ovviamente non basta: dobbiamo dare la possibilità alla persona di sperimentare lei stessa l’ambiente con gli altri sensi.
Toccare le foglie, i tronchi, la loro texture e consistenza, annusarne i profumi, ascoltare il canto degli uccelli, le fronde che si muovono con il vento, assaggiare un’erba edibile: ci sono differenti modi di percepire la natura intorno a noi.
Si può anche camminare direttamente nel bosco, per brevi tratti, spostandoci dal sentiero e descrivendo con attenzione cosa la persona incontrerà: un tronco a terra da scavalcare, un dislivello del terreno, un ramo da spostare ad altezza della testa…
E’ importante non togliere tutti gli ostacoli, ma farlo fare anche alla persona accompagnata descrivendo cosa fare (ad esempio “c’è un rametto ad altezza occhi alla tua sinistra”): costruirà ancora meglio la sua immagine del posto.
Utilizzare sensi percettivi diversi da quello della vista può essere una grande possibilità anche per chi non ha problemi visivi.
Chi ci vede bene è abituato a dare massima importanza alla vista, utilizzandola come senso principale senza rendersene conto… ma non sarebbe una splendida occasione per tutti fare una passeggiata bendati nel bosco, percepire maggiormente cosa la natura ci regala in termini di esperienze tattili, suoni, odori?
Mi piacerebbe molto organizzare delle escursioni per persone cieche, dove loro stesse possano insegnare a chi cieco non è come assorbire la natura attraverso gli altri sensi, privandosi temporaneamente della vista. Potrebbe essere molto educativo e insegnerebbe anche a fidarsi di chi ci accompagna, cosa non sempre scontata.
Sperimentare la disabilità motoria
Il resto del pomeriggio del sabato è trascorso con Isabella, che si muove attraverso una carrozzina elettrica.
L’organizzazione ha fornito alcune sedie a rotelle con cui abbiamo affrontato il parco. Anche qui l’elemento fatica è subito riscontrabile: spingersi con le braccia è faticoso, almeno tanto quanto incontrare continue difficoltà e barriere che, camminando, nemmeno notiamo.
In carrozzina può essere un problema anche aprire una porta, per non parlare dell’utilizzare un bagno (ho provato a spostarmi dalla carrozzina al wc con le sole braccia: davvero una sfida).
Elementi del territorio possono ovviamente creare barriere architettoniche: le rotaie del treno (Isabella insegna: passa veloce e decisa…), ma anche il dislivello del terreno, la pendenza… tutti elementi da tenere in considerazione creando un percorso accessibile.
Anche qui la durata e lunghezza del percorso sono essenziali (per la necessità di andare in bagno, la durata delle batterie della carrozzina elettrica…).
CONCLUSIONI
Nella giornata di domenica abbiamo condiviso il nostro vissuto e le nostre impressioni riguardo la giornata precedente.
In piccoli gruppi, poi, divisi in base alla provenienza, abbiamo gettato le basi per un piccolo progetto concreto, mettendo in pratica gli insegnamenti appresi.
Noi italiani abbiamo abbozzato l’idea di un percorso multisensoriale per ciechi, ipovedenti e normodotati a Saviore dell’Adamello, vicino alla casa del Gian gestita da Italo e Marinella: un posto che tutti noi conosciamo e a cui, personalmente, sono affezionata. Chissà che in futuro non si possa realizzare qualcosa del genere…?!
Questa esperienza è stata per me di grande insegnamento: nonostante io lavori come educatrice con le persone disabili da molti anni è importante, ogni tanto, mettersi fisicamente nei loro panni per sperimentare le loro sensazioni e rinnovare l’empatia.
L’insegnamento più grande è stato Saper Chiedere: se le persone hanno la possibilità di esprimersi verbalmente non dobbiamo farci problemi a chiedere loro come comportarci e come meglio aiutarli.
Spesso purtroppo la gente “normale” ha paura di relazionarsi con la disabilità, con grande dispiacere delle persone disabili, ovviamente, ma dove vi sia la possibilità di comunicare perchè non lanciarsi e farci raccontare qualcosa di loro?
Isabella era molto contenta: alla fine del corso ci ha raccontato come le abbiano fatto piacere le nostre domande la nostra curiosità nei suoi confronti.
Non dobbiamo avere paura di entrare in relazione con le persone disabili, altrimenti l’inclusione non avviene.
In conclusione ringrazio NFI di avermi dato la possibilità di partecipare attivamente a questo Workshop, utile per me anche come allenamento all’utilizzo della lingua inglese.
E’ sempre un piacere avere a che fare con persone motivate, amanti della Natura e degli Esseri umani.
Ringrazio i miei compagni di viaggio, in special modo Cristina per la sua disponibilità e buon cuore.
Silvia Trevisan