Il progetto di estensione del comprensorio sciistico tra Colere e Lizzola, un investimento di 70 milioni di euro (50 pubblici e 20 privati), sta dividendo l’opinione pubblica. A prima vista, potrebbe sembrare un’opportunità per rilanciare il turismo invernale e dare nuova linfa all’economia locale. Ma è davvero così? Analizzando i fatti, i dubbi superano di gran lunga le certezze.
Cambiamenti climatici e innevamento precario
Le proiezioni sui cambiamenti climatici ci offrono un quadro allarmante: la quota prevista per i nuovi impianti, tra i 1800 e i 2200 metri, sarà sempre meno affidabile in termini di innevamento naturale. La neve artificiale, che richiederebbe enormi risorse idriche ed energetiche, aumenterebbe inevitabilmente i costi per i fruitori, rendendo l’attività sciistica un lusso per pochi. Questo scenario rischia di alienare il turismo di massa, inducendo una riduzione delle permanenze. I turisti, scoraggiati dai prezzi elevati, potrebbero optare per un turismo “mordi e fuggi”, limitando fortemente l’impatto economico positivo previsto come del resto sta già accadendo più o meno ovunque a livello nazionale.
Turismo insostenibile ed economia locale
L’aumento del flusso turistico, tanto sbandierato dai sostenitori del progetto, rischia di essere un’illusione. Un turismo breve e poco strutturato non offre lo slancio economico sperato. Inoltre, l’incremento dei prezzi delle case, spinto da un’eventuale ondata di affitti e acquirenti forestieri, potrebbe creare serie difficoltà per le nuove generazioni locali, costrette a competere con i ricchi compratori esterni per rimanere nei loro luoghi natii.
Non bisogna dimenticare i costi certi che graverebbero sulle comunità locali: nuove utenze, servizi pubblici potenziati e personale per garantire la sicurezza degli sciatori rappresenterebbero un impegno finanziario di lunga durata, ben al di là degli iniziali investimenti.
Impatto ambientale: una montagna irrimediabilmente trasformata
Gli impatti ambientali del progetto sarebbero devastanti. La Val Conchetta, uno dei tratti più suggestivi delle Orobie, verrebbe trasformata in maniera irreversibile. Il traforo di 450 metri sotto il Pizzo di Petto, previsto per collegare i due comprensori, esporrebbe inoltre gli sciatori a seri rischi valanghivi, come già sottolineato dal CAI Val di Scalve. La costruzione di nuovi impianti e piste significherebbe una perdita irreparabile di biodiversità e un’alterazione permanente del paesaggio alpino.
Conclusioni: una montagna da preservare, non da sfruttare
Il progetto di estensione del comprensorio Colere-Lizzola promette una prosperità che rischia di rivelarsi un fuoco di paglia. Una montagna irrimediabilmente rovinata, costi in continua crescita e benefici economici dubbi sono un prezzo troppo alto da pagare.
Il futuro delle nostre montagne non può essere deciso sulla base di un’illusoria pioggia di denaro. È necessario pensare a un modello di sviluppo sostenibile, che preservi l’ambiente e garantisca alle comunità locali un futuro prospero senza compromettere le risorse naturali. Perché una montagna non può diventare un parco giochi e soprattutto una montagna deturpata non può più essere restituita.
Per tutti gli approfondimenti del caso pubblichiamo la serata informativa tenutasi il 3 gennaio a Vilminore e alcuni articoli di stampa
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