Il titolo di questo articolo evocherà ai non più giovani come il sottoscritto un film di guerra in cui un commando di spie americane riusciva a infiltrarsi e a guastare un forte tedesco abbarbicato sul pendio di una scoscesa montagna e la valenza dell’impresa bellica veniva espressa dal fatto che gli uomini si spingenvano talmente in alto dove persino per le aquile era un’impresa arrivare.

Il fatto di cui vi voglio mettere al corrente ha una logica esattamente capovolta: cosa succede quando sono le Aquile (i rapaci per intenderci) a “osare” avvicinarsi all’uomo? La risposta sta in quanto successo l’8 dicembre vicino a Vobarno(BS) quando un’aquila reale di 50 cm (sfido chiunque a confonderla con un qualunque volatile) dopo essersi probabilmente avvicinata a una “posta” di caccia veniva impallinata da un distanza di 30-40 metri; pallini del tutto simili, stando ai referti, a quelli utilizzati per la caccia ( da cui la deduzione precedente) le hanno procurato una brutta ferita ad un’occhio e bucato il cranio compromettendo forse del tutto il suo recupero in natura (sempre che sopravviva).

Non mi dilungo oltre con il mio sfogo sarcastico per non distogliere l’attenzione dalla lettera aperta (questa si che è seria) scritta dalle associazioni in calce per segnalare l’accaduto e chiedere alle autorità regionali di prendere provvedimenti


 

 

Alla cortese attenzione:

Presidente della Regione, Roberto Maroni
Prefetto di Brescia, dottor Valerio Valenti
Presidente della Provincia, Pier Luigi Mottinelli
LORO SEDI

Brescia, 19.12.2015

LETTERA APERTA

A nome delle associazioni bresciane elencate in calce a questa lettera desideriamo sottoporre alla vostra attenzione un problema di grande portata diventato di dominio nazionale grazie a un recentissimo, clamoroso episodio. L’ultimo, purtroppo, di una lunga serie.
Parliamo dell’abbattimento di un esemplare adulto di aquila reale recuperato sul territorio di Vobarno, alla luce del quale le associazioni ambientaliste e animaliste che da molti anni lavorano nel Bresciano per la tutela del territorio e degli animali chiedono di incrementare i servizi di vigilanza contro il bracconaggio; anche attraverso una pianificazione complessiva e congiunta degli interventi.
L’aquila trovata lo scorso 8 dicembre a Vobarno è stata centrata da una fucilata esplosa a breve distanza, e analizzati attraverso le radiografie, i pallini che l’hanno colpita sembrano di quelli del genere utilizzato normalmente dai cacciatori da capanno all’avifauna migratrice. L’esemplare, appartenente a una specie particolarmente protetta, sta ancora lottando tra la vita e la morte per effetto delle lesioni a un occhio e al cranio, e non è stato semplicemente vittima di un atto di bracconaggio, ma anche di reati ancora più gravi previsti dal Codice penale: lesioni (maltrattamento art. 544 ter C.p.) e tentato delitto poiché finalizzato all’abbattimento (art.56 C.p.).
Non si è trattato di un caso isolato: episodi di bracconaggio vengono registrati quotidianamente in una provincia, la nostra, nella quale i controlli sono stati quasi ridotti a zero, e una dimostrazione di questa realtà arriva dai due principali centri di recupero della fauna selvatica (Cras) ai quali si fa riferimento, e dai quali provengono comunque numeri fortemente sottostimati, in quanto solo una piccolissima parte degli animali particolarmente protetti sopravvissuti alle fucilate viene ritrovata, e solo una percentuale ancora più ridotta trova ricovero in una struttura attrezzata.
Cras di Paspardo : 301 esemplari di fauna conferiti nel 2015; 17 rapaci impallinati dal 29 settembre.
Cras di Valpredina (Bergamo): 303 animali feriti nel 2015; 83 rapaci di cui 24 con ferite da arma da fuoco.
Tutto ciò avviene anche perché il destino del corpo forestale dello Stato, una polizia ambientale con funzioni particolari e non assimilabili ad altre, è a dir poco incerto, e perché negli ultimi mesi si è assistito a un progressivo smantellamento del Nucleo ittico-venatorio della Polizia provinciale e alla polverizzazione del personale in un sistema caotico, che rende sostanzialmente impossibile ogni tentativo di garantire controlli continuativi contro la diffusissima (nel Bresciano) illegalità venatoria.
Il sostanziale crollo della capacità complessiva di gestione del nostro territorio provinciale, che detiene da sempre il triste primato nazionale per l’incidenza della caccia di frodo, favorisce il moltiplicarsi degli illeciti
ma aumenta anche i pericoli per i cittadini: sono numerose le segnalazioni arrivate quest’anno alle associazioni, e i casi saliti agli onori della cronaca, da parte di esasperati cittadini vessati dall’attività venatoria fuori controllo (spari a distanze irregolari, disturbo nei centri abitati, timori per la propria incolumità o per i propri animali domestici, danni alle proprietà e alle strutture ricettive turistiche).
In questo quadro si inserisce anche l’impossibilità, per le guardie volontarie giurate, di offrire un valido aiuto. La loro capacità di collaborare efficacemente con le amministrazioni pubbliche è stata infatti limitata da provvedimenti amministrativi che, sotto le pressioni della lobby venatoria, hanno privato gli agenti volontari delle funzioni di polizia giudiziaria; cosa che di fatto impedisce l’interruzione di ogni reato. Attualmente una guardia può solo chiedere l’intervento di una forza di polizia sperando che in quel momento e in quel luogo sia prontamente reperibile una pattuglia: solo il personale di polizia giudiziaria intervenuto può sequestrare richiami, armi e quant’altro ricollegabile al reato, e data l’esiguità di agenti e mezzi della Polizia provinciale, spesso accade che l’intervento non possa avvenire.
A completare questo quadro già fortemente negativo c’è poi il mancato rinnovo delle convenzioni scadute che la Provincia di Brescia aveva sottoscritto con i centri di recupero della fauna selvatica, basate per di più su budget di spesa a dir poco esigui rispetto agli effettivi costi di gestione e mantenimento degli animali.
Finora gli appelli per una risoluzione del problema più volte rivolti alla Regione sono caduti nel vuoto.
Per questo motivo, alla luce degli elevati costi delle cure veterinarie per l’aquila impallinata che si sta tentando di salvare, abbiamo pensato di venire in aiuto al CRAS WWF di Valpredina (Associazione WWF Bergamo-Brescia) con una campagna di raccolta fondi straordinaria e specifica (Codice IBAN: IT 61 U 05034 11141 000000009609 nella causale indicare la voce: «spese mediche aquila»).
Tutto ciò premesso, le associazioni L.I.P.U., Legambiente, Legambiente S.V.A, L.A.C., O.I.P.A., ENPA, Comitato Contro GreenHill, Amici della Natura chiedono a questo ufficio un intervento per quanto di propria competenza che vada nella direzione del ripristino della legalità attraverso una riconsiderazione delle forze disponibili per contrastare chi la minaccia quotidianamente, ma anche in quella, generale, della riaffermazione del principio prevalente di protezione di un bene collettivo fortemente minacciato: la fauna selvatica.

 

leggi articolo sul Giornale di Brescia e sul Bresciaoggi

 

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