Lo scorso giugno il GIAN è tornato per il secondo anno consecutivo in Bosnia con il duplice obiettivo di fare il punto della situazione del progetto “Srebrenica city of Hope” e conoscere le bellezze naturali della Bosnia. Per chi di voi non lo sapesse ancora questo progetto mira a far nascere in Bosnia un movimento Amici della Natura come risposta ad un sentimento che viene dal basso verso la cura e la preservazione del proprio territorio come fondamento di una ripresa socio-culturale basata sul turismo sostenibile. Particolarmente significativo è il fatto che il punto di partenza principale del progetto sia la città di Srebrenica che proprio a causa del genocidio di 8372 uomini di fede musulmana (dai 7 ai 77 anni) del 1995 è stata consegnata alla storia come la città del macabro e della commemorazione facendo perdere traccia di quanto fosse una città dal turismo fiorente ( era il secondo centro termale al mondo con le sue 48 sorgenti).
Il primo riscontro positivo di questo viaggio l’abbiamo avuto già prima della partenza quando Irvin Mujcic ci ha comunicato che le autorità di Sarajevo hanno riconosciuto ufficialmente, dopo le solite lungaggini burocratiche, l’associazione Priroteli Prirode Oaza Mira (Amici della Natura in Oasi di Pace).
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La burocrazia è al centro anche della costruzione della casa Amici della Natura e ne sta determinando un ritardo su quanto inizialmente ipotizzato. Molto probabilmente ci saranno implicazioni anche economiche ma il fatto che il crowdfunding a sostegno del progetto si sia concluso positivamente (più di 5000 euro raccolti) ci fa pensare che il traguardo della prima casa Amici della Natura in Bosnia si sia solo allontanato un pochino ma è ancora a portata di mano. Di fatto questo imprevisto non impedisce agli Amici bosniaci di dare ospitalità: sta prendendo piede infatti l’homestay (ospitalità in famiglia o ospitalità diffusa) che consente a chi è desideroso di scoprire l’autentica e tradizionale ospitalità bosniaca di farlo nel modo più semplice e diretto possibile. I primissimi riscontri in merito sono stati molto positivi sia per la qualità dell’esperienza che per il conseguente coinvolgimento della popolazione locale nel progetto. Molto toccanti sono state le parole di Aziz e Zumreta quando ospiti presso la loro abitazione nel minuscolo villaggio di Ljeskovik ci hanno raccontato come vivono la loro quotidianità (lui allevatore di pecore lei casalinga) e come abbandonarono il villaggio con l’arrivo della guerra per riuscire a farvi ritorno se non dopo qualche anno dopo la fine del conflitto.
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Un altro momento molto significativo è stato l’invito a partecipare all’Iftar, il momento di preghiera e festa che segue la conclusione quotidiana del Ramadan. Nonostante l’importanza di questo momento non abbiamo rilevato nessuna “chiusura” o “pregiudizio” verso chi come noi si presentava come non musulmano; anzi la comunità (150 persone almeno) ci ha accolto con la curiosità di conoscere gli ospiti in modo non formale e non superficiale dandoci modo di condividere un bellissimo momento collettivo di accettazione delle altrui diversità.
Mi rendo conto che fare un resoconto di viaggio senza parlare dei luoghi, peraltro bellissimi, che abbiamo visitato può sembrare un paradosso; ma per questo ci sono le fotografie molto più eloquenti di qualunque descrizione vi possa fare. Preferisco invece sottolineare come tante persone che fermandoci per strada sono venute a conoscenza del progetto Srebrenica City of Hope ( e del suo obiettivo di far ripartire il turismo della città ) spontaneamente e disinteressatamente abbiano offerto il loro supporto mettendo a disposizione chi le proprie conoscenze chi la propria casa ( o quella di amici/parenti anche in altri villaggi). Preferisco descrivere il senso ancora forte nelle persone di Srebrenica di far parte di una comunità; preferisco riportare le parole di Aziz, che nella sua piccola casa nel villaggio di Ljeskovik, ci ha detto una frase di grande importanza: noi bosniaci non pensiamo ci sia niente di più bello che tornare a vivere nel villaggio in cui siamo nati, dove le persone comuni vivono insieme a prescindere dalla nazionalità e dalla religione come era fin prima della guerra.
Christian Facchetti
Presidente del GIAN