Partecipare alla COP24 è stata un’esperienza incredibile per entrambe e ci sentiamo tanto cambiate dopo questa intensa settimana a Katowice. È cambiato il nostro modo di riflettere: prima eravamo consapevoli dei problemi relativi al cambiamento climatico, e provavamo a fare la nostra piccola parte per inquinare di meno, ogni giorno. Ora, questa consapevolezza è diventata una necessità molto più forte, un vero e proprio obbligo morale: di fronte a Greta Thunberg, che a quindici anni sciopera davanti al Parlamento svedese affinché il suo governo si allinei con l’Accordo di Parigi (eccolo qui spiegato facile) e a Joe, che ci racconta di come nell’arcipelago di Palau l’innalzamento del livello degli oceani non permette più di coltivare, di fronte a Udeh Chiagozie, che in Nigeria ha aiutato a piantare migliaia di alberi e di fronte a tutti gli altri che abbiamo conosciuto, come possiamo fare “soltanto” la nostra piccola parte?

 

“La COP mi ha permesso di riflettere a fondo sulle dinamiche di movimento e consumo che seguiamo tutti i giorni, anche a quelle a cui non facciamo caso” – racconta Sara. “Riflettere sulla tramvia che si è appena fermata qui davanti, e sul parco dove da piccola giocavo con le pecore che pascolavano, mentre ora ci sono tre bei palazzoni grigi. Sull’acqua in bottiglia che ci danno a mensa, sui biscotti confezionati che mangio a colazione. Abbiamo veramente bisogno di tutto questo consumo di massa?”.
Katowice si trova nel sud-est della Polonia. La città non è stata casualmente: è infatti uno dei più importanti centri del Paese per la produzione di carbone, e questo si può scoprire appena scesi dal treno alla stazione centrale, respirando. In caso non lo si capisse subito, basterà fare due chiacchiere con la gente del posto, che molto probabilmente pronunceranno le parole “aria inquinata” quando gli chiederete come si vive lì.

Dopo i primi due giorni di orientamento, abbiamo capito veramente come funzionava questo mega-evento e quale sarebbe stato il nostro ruolo lì. Sara, allora, si è dedicata alle conferenze organizzate dalle numerosissime organizzazioni presenti, in particolare a quelle legate al mondo dei giovani, donne, popoli indigeni e oceani. Aurora, invece, ha deciso di seguire i lavori di YOUNGO (in particolare quelli del gruppo Agricoltura), network che raggruppa tutte le associazioni giovanili presenti alla COP e che ha diritto di parola durante le assemblee ufficiali.
Sara racconta: “La prima partecipazione alla COP è come un’avventura che può continuare senza mai finire. Entravamo prima delle 9 del mattino, passando per i controlli di sicurezza e uscivamo verso le 7 o le 8 di sera. Gli eventi erano tanti e spesso si svolgevano in contemporaneo. Mi trovavo sempre a correre da un corridoio all’altro, nell’indecisione infinita su quale sarebbe stato meglio seguire. Fantastico realizzare come si possa collegare il clima con ogni possibile immaginabile tema della vita quotidiana!”
L’attivismo che i giovani di YOUNGO hanno mostrato durante le due settimane è stato sensazionale: ogni giorno, per due o più volte, venivano realizzate azioni teatrali, dimostrazioni, canti o marce nelle zone più frequentate della conferenza, allo scopo di sensibilizzare sui temi più caldi delle negoziazioni. Come il fatto che i diritti umani, la sicurezza alimentare e l’uguaglianza di genere non sono menzionati all’interno del Rulebook, ovvero il regolamento frutto della COP24, che va a spiegare nel dettaglio come implementare le indicazioni dell’Accordo di Parigi. YOUNGO ha anche lottato per ottenere maggiore voce all’interno delle negoziazioni e degli incontri ufficiali, come il più recente Talanoa Dialogue: i giovani, infatti, sono coloro che andranno a vivere le conseguenze delle decisioni prese oggi, ma il loro punto di vista non è sicuramente tenuto abbastanza in considerazione.

Questa COP ci ha riempito di voglia di fare, ma anche di tanta frustrazione. Di ispirazioni e di rabbia. Di entusiasmo e rammarico. Assistere alle azioni della società civile, di persone che hanno sacrificato stipendi, lavoro, tempo libero e tanto risposo per venire fino qui e raccontare quello che fano nelle loro comunità per combattere il cambiamento climatico è stato incredibile. Vedere le negoziazioni e rendersi conto che, per il solo voto contrario di USA, Russia, Kuwait e Arabia Saudita, i risultati del report speciale dell’IPCC non sono stati tenuti in considerazione, fa sentire così impotenti. Non tutto il male viene per nuocere, però: in fondo in fondo, qualcosa ci dice che questo mix di emozioni potrebbe essere il cocktail giusto per scatenare un’azione globale con effetti imprevedibili. Forse, anche noi, possiamo diventare le Greta, Joe, Udeh e tutti gli altri che, prima nel silenzio e poi seguiti da migliaia di altre persone, hanno cambiato qualcosa, per il meglio di tutti.

di Aurora Righetti e Sara Mucaj

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *